Dicono di me

FB secondo Donato Di Poce

Io sono la ruggine

Io sono la Ruggine e l’Ombra
E polvere innamorata che cammina.
Io sono la porta della memoria e del desiderio
E una stella intermittente tra cielo e mare.
Io sono il vento e il fuoco
E un sogno che brucia ai bordi della notte.
Io sono un barattolo di sensi
Accartocciato in un angolo di strada.
Io sono la traccia e il cammino
Un segno cancellato a cento passi dall’infinito.
Io sono un ponte di luce
Acceso tra due solitudini.
Io sono un respiro che ti respira
Un respiro che danza tra la ruggine e l’ombra.

Donato Di Poce

FB secondo Alessandra Grandi

Fulvio Biancatelli, architetto romano classe ‘57, nel corso del suo percorso artistico ha realizzato murales e quadri onirici e colorati; da alcuni anni si dedica, con la passione di un archeologo che rinviene tracce della storia, alla realizzazione di opere materiche che nascono dagli scarti, dagli avanzi del mondo che nella sua corsa rifiuta ciò che smette la propria funzione vitale e si converte in superfluo, inutile, spreco.

Nello sguardo dell’artista risplende la meraviglia di chi scopre al largo delle coste, in mezzo ad un mare profondo e oscuro, il relitto di una nave pirata affondata dopo un arrembaggio fortunato. Eccoli lì, gli ori sommersi, i tesori arrugginiti, le gemme consumate dall’oceano, il gigante minaccioso caduto in un indegno letargo, e di quella poesia distrutta Biancatelli ne fa arte.

Dagli scarti della società moderna, ingorda divoratrice di nuove cose, Biancatelli ricostruisce, reinterpreta, ed è come imparare a parlare. Scoprire un nuovo linguaggio. Parole fatte di corpi che cambiano pelle, corpi di cui l’artista modifica la superficie, altera il DNA, intrappola e libera nuova soluzioni.

Contro la morbosità del corpo perfetto, della pelle di plastica, dell’ideologia dell’inespressività, ammiriamo queste opere che ci rinfacciano il passato, esibiscono suture e cicatrici, ci costringono ad accettare lo sforzo della rinascita costante. Perché una volta perduta la nobiltà dell’oggetto, svanito lo scintillio del nuovo e la virtuosità della forma ideale, emerge l’identità della materia. È l’io profondo che sopravvive al mutare del corpo. Ci siamo noi dentro queste opere, con i nostri rifiuti, i disprezzi accumulati, le indecisioni, gli sguardi respinti, le parole perdute, le occasioni mancate. Siamo noi questi frammenti di coscienza organizzati in un nuovo quadro, il panorama della negazione del niente in cui diventiamo, forse per la prima volta, sinceramente belli.

Come le creazioni di Biancatelli nascono dagli scarti, dalle macerie di ciò che sopravvive mutando, così le città (o le civiltà) distrutte riemergono affrante da se stesse. Da ciò che resta parte la salvezza dell’essenziale, la selezione primitiva di ciò che ha un senso fuori di sé, una nuova estetica del sottosuolo, dove il bello è un corpo ferito, consumato. E nulla è mai, completamente, perduto.

 

Alessandra Grandi

FB secondo Elena Colombo

Fulvio Biancatelli porta avanti un lavoro antropologico, archeologico e semantico in cui ferro, bulloni, rame, plastica sono materiali poveri, apparentemente scarti della civiltà industriale che articola una sintesi linguistica che dispone gli elementi su sfondi che diventano simboli di un mondo in mutamento. Le reliquie di questa dimensione spazio-temporale s’inseriscono in un contesto multi-espressivo, con mille sfaccettature cangianti come cristalli attraversati dalla luce e strutturate secondo una topografia dell’immaginario, come un insieme di arcipelaghi sconosciuti – una mappatura rupestre di un territorio da esplorare.

Alluminio che si fonde con la roccia, residui tecnologici assediati dalla ruggine che assumono una nuova poesia, quasi una malinconica musicalità. Il silenzio della pietra diventa il fulcro delle istallazioni che dimenticano la ricercatezza geometrica dell’architettura per ritrovare la linearità irregolare della natura, con superfici magicamente levigate dal Tempo o piegata dalla creatività dell’artista.

L’opera è un fatto fisico e mentale; sintesi concreta delle caratteristiche di un’inedita razza umana, digitale ma ancora intimamente legata ad un sottofondo primordiale. Ogni fenomeno è leggibile tramite dei basic needs delle scale socio-economiche: cibo, abitazione, comunità diventano fondamenti che si evolvono dinamicamente, tradizioni che finiscono per articolare una grammatica della modernità fatta di relitti, cascami e frammenti di un quotidiano visto sempre con occhio critico.

Avanzi che denunciano un’opulenza non necessaria, scarti di lavorazione metallica. Ogni lavoro appare come una singola frase di una partitura nata da un background liquido, opacizzato nella sua trasparenza lattea, solcato da imperfette bollicine vulcaniche, bloccate dalla potenza delle colle chimiche. La fase di fissaggio dei diversi pezzi è il momento più delicato del processo generativo, quando si delineano composizioni e nuance ignote e affascinanti che somigliano al brodo primordiale in cui nuotano le cellule della vita.

 

Elena Colombo

FB secondo ArtisSpectrum

Le affascinanti opere astratte dell’artista italiano Fulvio Biancatelli,  in acrilico e materiali misti, scavano a fondo nelle pieghe interiori della consapevolezza umana, all’interno dell’onnipresente ciclo di morte e rinascita che ognuno di noi sperimenta durante il corso dell’esistenza.

Sono lavori che parlano essenzialmente di trasformazione, sottolineando la ‘possibilità del cambiamento… prima che la luce permetta la trasformazione da crisalide a farfalla.’

All’interno di queste composizioni, l’ordine è disgregato dal caos, mentre l’apparente purezza si trova a fronteggiare buchi frastagliati e linee inframmezzate. Pure si percepisce una forza poderosa all’interno di ogni rappresentazione, una luce interiore che trascende ogni discordia apparente.

Per Biancatelli la forza basilare trasmessa dalla sua arte è letteralmente rappresentata dalla colla  utilizzata per unire metallo, plastica e materiali misti, la quale ha la ‘forza di attaccarsi a qualsiasi oggetto. Basta solo aspettare  e darle fiducia’.

Allo stesso modo, le audaci pennellate e i colori rigorosi nei lavori di acrilico su legno raccontano una storia simile. Trovandosi faccia a faccia con queste opere, se ne percepisce immediatamente la potenza interiore: una crudezza di effetto espressionistico bilanciata dalla silenziosa consapevolezza che tutto è proprio come dovrebbe essere in quel particolare attimo di tempo.

Accostando metallo ruvido e linee dissonanti a paesaggi astratti che riflettono la distesa verticale di una foresta vergine o di un terreno naturale, Biancatelli ci invita a esplorare la ‘morbosità del corpo perfetto’, osservando più da vicino cicatrici e suture che indicano il bisogno e il desiderio di una costante rinascita. Ma all’interno di suddetto processo, il sé interiore rimane invariato, se non addirittura rafforzato. Per citare le parole stesse dell’artista: ‘Mentre organizziamo questi frammenti di consapevolezza in un nuovo contesto, la visione del diniego di qualunque cosa diventiamo (si trasforma), forse per la prima volta, in qualcosa di veramente bello.’

Fulvio Biancatelli vive e lavora a Roma, in Italia.

FB secondo Miriam Cristaldi

Ferri arrugginiti, viti, bulloni, grette, lattine pressate, lamiere contorte, nastro plastico da imballo, chiodi, fili di ferro attorcigliati, catenelle, frantumi di cristallo ecc. sono tutti poveri elementi industriali di scarto con cui l’artista, architetto e designer romano Fulvio Biancatelli (classe ’57), struttura un complesso, affabulante e fascinoso alfabeto secondo un  personalissimo codice linguistico, reificando tali oggetti-frammento quali scarti della società in preziose occasioni multi-espressive, ruotanti a coda di pavone in un reale riflesso nella pluralità del senso. Scrive l’autore: “Nella costruzione, quello che mi disarma è l’assoluta espressività delle materie: il canto del ferro che incatenato dal collante, tradisce una tensione imprigionata per sempre…”.Talvolta queste “reliquie” della modernità, sull’orlo di una sparizione in favore del nuovo “immateriale” tecnologico che avanza a velocità accelerata – realtà che il filosofo francese Paul Virilio non cessa di definire come: “…una situazione in cui la specie è a fine corsa poiché non è più in grado di adattarsi abbastanza velocemente a delle condizioni che mutano più rapidamente che mai” – si accostano a piccoli frammenti di natura, anch’essi miseri relitti, trovati sulla spiaggia ed elaborati dalla forza del mare come pietre levigate, legni, conchiglie, quasi alla ricerca di un possibile, poetico innesto dove anche la natura lancia il suo grido d’allarme, pressata com’è  dall’attualità di precari e vacillanti ecosistemi. “Raccolgo un po’ tutto ovunque”, dichiara l’artista “perché mi chiamano a testimone di uno scempio, di uno spreco d’inciviltà…”.E allora, con l’attenzione di uno scienziato che pone il materiale sul “vetrino” per esaminarlo, Fulvio Biancatelli depone le sue reliquie-oggetto su lastre in metacrilato trasparente (plexiglas “a freddo” che non ha subito condizioni di liquidità) come simboli di un mondo in estinzione da consegnare a futura memoria secondo armonie spazio-temporali  e ritmate composizioni, chinandosi amorosamente sugli scarti-frammento per reinserirli in una vitalistica circolazione sanguigna che è specifica dell’arte.  In un secondo tempo fissa gli elementi al supporto con potenti colle chimiche facendoli  “cantare” per l’eternità.Nella prassi operativa questo è il momento più delicato in cui colorate polveri di aniline – spruzzate sulla composizione – si impastano col vinavil (usato per il fissaggio) creando una magica fusione pittorica tra gli elementi del quadro ed il supporto.“ Poi l’attesa che il collante incateni le materie, ma sopratutto che il colore si diluisca formando sfumature sconosciute e la ruggine cerchi vie di uscita dalla trappola imbastita…” spiega ancora l’autore. Prende così corpo una delicata “pelle” che interagisce con l’opera mediante riflessi cangianti dei rossi, verdi o  blu, un’unica pasta pittorica capace di suggerire acide, violente e al contempo inquietanti atmosfere dove la materia, trasformata in catartiche accelerazioni, sembra trascendere in “liquefazioni spirituali”.La ruggine ha qui una notevole importanza: la fioritura dei funghi del ferro crea l’idea della distanza, dello scorrere del tempo che consegna l’ovvio al passato e che rinasce nella potenza energetica di una rinnovata linfa vitale. Ciò richiama l’opera del genovese Claudio Costa, artista internazionale  che sugli elementi di scarto della società (con particolare attenzione per la ruggine cui aveva dedicata, nel ’90, l’intera mostra “Per case di ruggine”) aveva fondato la sua poetica.Nel lavoro di Biancatelli, e in quasi tutta l’arte contemporanea, si nota una sorta di apologia del “frammento” poiché abbiamo perso l’idea dell’“intero” attraverso cui ci riconoscevamo abbracciandone i limiti nei quali era circoscritto.Visione, questa, che è propria del passato (fino al secolo scorso) e che oggi ci è stata tolta dall’incommensurabile grandezza del mediatico “villaggio globale” che, volenti o nolenti,  universalmente abitiamo. Non potendo riconoscersi in grandezze uscenti dai nostri limiti percettivo-sensoriali nasce allora il culto, l’amore infinito per il piccolo, il micro, per ciò che in fondo è più simile al nostro “esserci” nel mondo.Particolarmente efficaci sono anche le opere intitolate “Vitrei” , elementi composti da schegge di cristallo tratte da frantumi di parabrezza d’auto, impastate con collante e ad accesi colori d’anilina, per essere poi racchiuse in cornice di brunita lamiera (per affissioni).Anche qui si struttura una caleidoscopica visione che riflette un micro-universo  dove “ … come i cristalli di salgemma trapassati dalla luce rossa di una candela accesa , così le schegge di vetro temperato accendono luci ed ombre sinistre dall’umore vitreo…”, suggerisce ancora Biancatelli riferendosi  a queste opere dove sovente, dietro il lavoro è posta una fonte di luce che mette in risalto proiezioni cromatiche violente, capaci d’irradiarsi magicamente nello spazio circostante.Si architetta allora una possibilità di muoversi con la materia-colore in modo topologico con una intensità di senso in cui mente e corpo trovano un’intima, vibrante unità.

 

Miriam Cristaldi

FB secondo Alessandra Mazziotta

Fulvio Biancatelli è un architetto, designer, artista, video maker, scrittore e muralista; da segnalare sono le numerose collaborazioni con studi di progettazione architettonica come. Studio Monaco-Martini, Studio Valle progettazioni, Studio Massimiliano Fuksas, Studio Manfredi Nicoletti, Studio Giammetta&Giammetta per i quali ha realizzato numerosi e importanti progetti e concorsi sia architettonici sia artistici.

Per citarne alcuni: 1994 Progetto architettonico, Concessione Edilizia e Direzione Lavori per Case a schiera a Nazzano, nel 1997 il Progetto architettonico “Stazione di approdo con servizi per battelli sul fiume Tevere”:

Ha partecipato a numerosissime mostre, la prima personale risale al 1984 presso la Galleria l?intervallo di Roma, ma già a partire dal 1978 è presente in varie collettive nella capitale, nel medesimo anno inizia la sua attività pubblica di muralista con il murales realizzato nella Facoltà di Architettura di Roma.

Biancatelli è una figura emblematica dei nostri giorni, che ha apportato con i suoi lavori ma soprattutto con le sue idee un cambiamento, sia reale che mediatico, poiché è stato in grado di tradurre le immagini in parole e le parole in immagini conferendo ad esse vivida intensità.

Guarda all’uomo contemporaneo come forse pochi fin d’ora, riuscendo a cogliere sfaccettature, paure, sogni, incubi, che divengono elementi cardine del suo operare, un operare realmente attuale capace di infondere nell’osservatore un’immersione totale.

La megalopoli diventa basilare per l’introspezione analitica di Biancatelli, come anche per altri, che diversamente da lui, hanno puntato l’occhio sull’Oriente come Olivio Barbieri e Ai Weiwei.

Ora sono i grattacieli e lo spirito bellicoso a comporre la società odierna nella quasi totalità dei casi, con una idea implacabile di salita e poco di discesa poiché più si sale meno desiderabile risulta ciò che si lascia alle spalle; in alcuni suoi video sono riscontrabili spezzoni di catastrofi di celebri colossal cinematografici in cui la parola fine può essere sinonimo di rigenerazione.

“Delirious New York” ne è l’esempio più esplicito, il video è tratto dall’omonimo libro del grande architetto Rem Koolhaas.

Le battaglie sono molteplici, così come molteplici sono i fronti, ecco perché si necessita di una soluzione che potrebbe essere non casualmente la pace.

Proprio “Pace” è il titolo dell’opera di Biancatelli, uno’pera materica che si distingue per la sua pulizia visiva grezza dello sfondo, candido bianco a rilievo, in cui è idealmente possibile vedere una città che si erge guardando al cielo.

L’artista spiega come tali opere rientrino in una tecnica del tutto peculiare, quella delle Bruciature Plastiche laddove “Lo scavo del fuoco sul polistirolo espanso è un processo di purificazione, un atto che ridimensiona le dimensioni della materia trattata conferendo…consistenza contro fragilità…liquefacendosi si fondono, ritirandosi aprono vuoti, gongiandosi sviluppano volumi: si riproduce in piccolo quella creazione delle terre, dei continenti, la loro deriva, come un corpo rovente che poi si raffredda. Bruciano le plastiche, le loro protesi siliconiche o mentali, la cera e il cerone…tutto si amalgama in un mare liquido che si rapprende per diventare una superfice inospitale, grinzosa e ruvida”.

La parola pace è ripetuta a catena in una moltitudine di lingue, il loro legame permette che non si percepiscano le disuguaglianze. Un medesimo significato lega popoli e nazioni in un utopistico intento comune.

Per estensione semantica il concetto di pace è stato assorbito in diversi campi sino a giungere all’interiorità di ognuno di noi, valore universalmente riconosciuto in grado di superare qualunque barriera.

La scrittura in quanto tale è stato ed è tutt’ora un medium di espressione libera, la libertà nel senso più ampio del termine può identificarsi con la pace. Il testo di questo lavoro rievoca la più arcaica forma di linguaggio: il graffito, che associato probabilmente al richiamo della pietra rimanda al primordiale. Il messaggio di pace non può arrivare da solo, deve essere pensato, sentito, provato da ambedue i lati, dall’artista e dal fruitore. Arte e pace hanno un intento comune: arrivare alla compassione del cuore e ancor più alle elaborazioni della mente.

 

Alessandra Mazziotta

FB secondo Giulia Alberico

Ho spesso il privilegio di osservare Fulvio Biancatelli al lavoro. Ogni volta è una epifania. Da rottami di legno, ferro, vetro, materiali in genere di scarto e reperiti da lui nei modi più impensati, nascono figure, pannelli, forme che dicono a chi le guarda il miracolo della nascita e rinascita delle cose. Sotto le mani di Fulvio  quegli scarti divengono un  canto barocco, un Cristo, un inno al mare, alla vita, un  racconto  che al posto delle parole ha fili di ferro, chiodi, spago e ancora metallo. Forme che narrano emozioni e speranze, turbamenti e gioie dell’ animo.

Da un relitto di alluminio, di recente, è nata quella che a me è parsa una vela gonfia di vento e di mare. Sulla superficie argentea Fulvio ha, poi, dipinto in rosso le parole di un testo di Franco Battiato. Un invito a salpare, ad andare lontano, lontano….

Confesso che rimirando la ‘vela’ , in un’ ora silenziosa e deserta del primo mattino, mi sono commossa, tanta la forza creativa che emanava quell’ opera.

Fino a che ci saranno artisti capaci di stupirci ed emozionarci come Fulvio Biancatelli potremo sognare e andare lontano lontano….

 

Giulia Alberico